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Gilles Villeneuve: elogio alla follia

Riproponiamo, a 30 anni dalla morte, l'articolo sul grande Gilles Villeneuve scritto da Max Lo Verde nel 2006.
Max Lo Verde 8 Maggio 2006

Erano quasi le 14 dell’8 maggio del 1982 quando Gilles Villeneuve compì il suo ultimo volo, quello che dalla curva Terlamenbocht di Zolder lo consegnò alla leggenda.
Qualcuno potrà pensare che parlare di Gilles in un contesto prettamente dedicato a salite e slalom c’entri come i cavoli a merenda. Beh, questo qualcuno non è di certo uno di quelli contagiati all’epoca dalla.. “febbre Villeneuve”. Io si. Una patologia meravigliosamente inguaribile. Che fosse una persona speciale lo aveva avvertito anche Enzo Ferrari, l’unico di cui scrisse “io gli volevo bene” nel suo spietato libro “Piloti che gente”.

Quel che faceva era solo per se stesso, ma il risultato, nei pochissimi anni in cui la sua stella illuminò il firmamento dell’automobilismo, era un solco tracciato nell’anima di chi finiva per adorarlo. Era una traccia, un esempio. Era quello che avremmo voluto essere, faceva le cose che avremmo sempre voluto fare. Era quello che non si arrendeva davanti a ciò che per gli altri era impossibile. Lui ci provava. Sempre. Spesso ci riusciva e nascevano le sue imprese ormai sfumate nel mito, a volte non ci riusciva e venivano fuori i voli, le critiche di quelli bravi, di quelli.. inquadrati, di quelli che “non si può” o “non si deve”.

Erasmo da Rotterdam, nel suo “Elogio alla follia” scrive, facendo parlare proprio la “follia” : “Non vi accorgete che gli uomini austeri, dediti a studi filosofici, o impegnati in faccende serie e difficili, in genere sono già vecchi prima di essere stati davvero giovani, e questo per le preoccupazioni e per il costante e teso dibattito mentale, che un po’ alla volta esaurisce gli spiriti e la linfa vitale?
Al contrario, i miei bei matti sono tutti grassottelli, lustri, senza una ruga, proprio come quelli che chiamano porcelli d’Acarnania, immuni, per certo, da qualunque disturbo senile, a meno che non si trovino a subire in qualche misura il contagio dei saggi, come capita, poiché la vita non consente mai una completa felicità.
Valida testimonianza di tutto questo è il diffuso proverbio secondo cui solo la Follia è capace di prolungare la giovinezza, altrimenti fuggevolissima, e di tenere lontana la molesta vecchiaia.”

Io aggiungo che in fondo chi corre in auto, a qualunque livello, un po’ di follia ce la mette. Per molti è una fondamentale valvola di sfogo, il nostro “momento di follia”, che ci regala meravigliose emozioni, il sale della nostra vita.

Gilles era l’apoteosi di tutto questo. Lui scelse di non maturare, di restare “bambino”, di rinunciare alla razionalità. Ricordo delle sue interviste bellissime in cui si esaltava per quelle che per altri non erano che “ragazzate”. E lui ne era felice. Una vita vissuta con l’acceleratore saldato a terra, con qualunque mezzo, sempre fedele a se stesso.

Cito una cover di un bel libro su Gilles “il piccolo aviatore”:

“Zandvoort, 26 agosto 1979
Villeneuve è primo, ha realizzato il giro più veloce, ma qualcosa non funziona, la posteriore sinistra si sta afflosciando. Dovrebbe fermarsi, sarebbe facile, proprio adesso sta passando davanti ai box. Non si ferma. Prosegue. La Ferrari è ormai inguidabile. Attaccato da Jones va in testacoda. Jones lo sorpassa.
Villeneuve riparte. Dovrebbe fermarsi, non si ferma. Prosegue. Finisce ancora fuori pista. La posteriore sinistra non esiste più.

E’ costretto ad andare ai box. Ma i box sono dalla parte opposta. Deve fare un giro completo con tre gomme usurate e una a terra. Lunghissimo. Villeneuve accelera ancora. Se supplizio deve essere, che sia breve.

Il cerchione, ora, striscia sull’asfalto. Prosegue. Rompe la sospensione. Prosegue. Il troncone posteriore scintilla, ondeggia, ha vita propria. Prosegue. Arriva ai box in quelle condizioni. Ha appena perso il mondiale.

I meccanici lo guardano imbarazzati, stavolta l’hai fatta grossa, aviatore. Lui li osserva dal basso, incredulo. Fatemi ripartire, non può essere già finita.
Gilles era così: prosegue.”

Se n’è andato chiudendo un’epoca, Villeneuve.
Guardando quelle immagini, scrutando tra le dolci pieghe della nostra memoria, tra le migliaia di commoventi lettere che furono scritte dopo la sua morte, traspare il suo pensiero, la sua filosofia estrema, il suo testamento morale e cioè che nelle corse, come nella vita, l’importante non è vincere, ma nemmeno partecipare.. l’importante è non arrendersi. MAI.
Salut Gilles!